REGGIO EMILIA – La Caritas, nel suo Report sulle povertà in provincia di Reggio Emilia 2021-2022, presentato questa mattina alla presenza del direttore Andrea Gollini e di Chiara Franco, direttrice dell’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, ha evidenziato come, nella vita delle comunità, “il Covid ha avuto anche la funzione di acceleratore di processi già presenti sotto traccia, in particolare, l’infragilimento delle comunità e delle reti naturali e il calo della partecipazione alla vita delle comunità cristiane (ma anche civili)”.
Nel report si registra un aumento numerico delle persone incontrate dai Centri di Ascolto ed emergono nuove povertà (o nuove sfaccettature), oppure quelle esistenti si cronicizzano e divengono più complesse e richiedono risposte non assistenziali, ma progettuali e con una grande attenzione alla dimensione relazionale. Parallelamente si sono rilevate nuove esperienze di aiuto e un desiderio diffuso di innovare le pratiche di aiuto e le progettualità ed emerge anche una voglia di relazioni e di lavoro in rete.
Scrivono gli estensori della ricerca: “Possiamo confermare che il Covid è evento spartiacque, perché ha lasciato il segno creando una differenziazione fra chi ha saputo innovare e chi invece no. La prima categoria è oggi in fermento (apertura nuovi progetti, ripensamenti, …), la seconda sta faticosamente cercando di ricominciare a fare come faceva prima del Covid (il che significa, ad esempio, un calo importante delle attività di ascolto in questi due anni)”.
E aggiungono: “La povertà delle famiglie continua ad aumentare, come certificato dall’aumento delle famiglie accompagnate e dal sostegno economico erogato dai Centri di Ascolto periferici. Nuove famiglie scivolano in povertà e quelle che già vi si trovano faticano ad uscirne nonostante il sostegno. Problemi particolarmente presenti e complessi sono: la povertà abitativa (ripresa degli sfratti, difficoltà a sostenere le spese per l’abitazione, impossibilità a trovare una casa in affitto, dimore inadeguate rispetto alle esigenze delle famiglie), il lavoro che significa difficoltà ad accedere al mercato del lavoro per le persone accompagnate, ma anche lavoro povero, aumento degli italiani (preoccupa l’aumento delle spese per i generi alimentari), la condizione dei minori e dei giovani sia in termini di povertà educativa, sia di quei giovani che non lavorano, non studiano e non sono in formazione (Neet), aumento dei problemi psicologici, relazionali e la multi-problematicità, la situazione dei cittadini ucraini in fuga dal conflitto”.
In particolare, fra chi si presenta per chiedere aiuto, “oltre il 53% delle persone risulta già conosciuto, questo indica una cronicizzazione delle situazioni di povertà, tornano a crescere le persone senza dimora. Sono il 58,9% delle persone incontrate in aumento tra il 2021 e il 2022 di 10 punti percentuali, aumenta la multi-problematicità passando da 3 bisogni a persona rilevati nel 2020 a oltre 4 nel 2022, in leggero calo le persone di nazionalità italiana (meno 21 unità). Gli italiani, fra le persone incontrate, si assestano nel 2022 quasi al 20,47%, un dato stabile negli ultimi anni a riprova che anche la grave marginalità riguarda gli italiani, diminuiscono le donne”.
La componente femminile vede una ulteriore riduzione al proprio interno di oltre 3 punti percentuali scendendo al 20%. Tuttavia per la componente italiana il dato rimane stabile, la condizione di senza dimora riguarda principalmente uomini (66% degli uomini incontrati ha questa condizione e 89% delle persone incontrare in questa condizione 45 donne e 383 uomini) di origine straniera giovani rispetto ai quali si riscontra un decremento con l’avanzare dell’età, specularmente per gli italiani il problema si manifesta maggiormente all’avanzare dell’età, in forte aumento le persone non in possesso di un permesso di soggiorno (da 21,2 % nel 2021 a 32,6 %) così come quanti dichiarano di lavorare in nero (da 4.11 nel 2021 18% nel 2022) a riprova che spesso la povertà è collegata alla condizione di invisibilità che rende impossibile percorsi di inserimento lavorativo e sociale. In calo invece la disoccupazione che passa dal 77,4% nel 2021 al 61,7% che rimane comunque una delle condizioni che maggiormente incidono sul vissuto personale in rapporto alla povertà.
Si legge nel report: “La persistenza della povertà, sia a livello assoluto che relativo, in questi due anni è un fatto evidente, ma assume particolare rilevanza soprattutto per il rischio povertà ed esclusione sociale per gli stranieri. Nella nostra regione ci troviamo in una situazione di benessere diffuso, ma non mancano persone che vivono in situazioni di grave marginalità per cui la distanza dai primi diventa non solo materialmente ma anche psicologicamente difficile. Essere poveri in una regione ricca è difficile, anche se le possibilità per uscire dal circolo vizioso della povertà possono essere potenzialmente maggiori. Il problema della povertà non è un problema solo di oggi, temporaneo e transitorio, ma un problema strutturale della nostra società. Occorre un intervento strutturale e politico per contrastare la povertà e, contemporaneamente, l’impegno di tutta la società per rompere la spirale, la trappola della povertà, modificando dinamiche che riguardano tutto il sistema paese e che richiedono una presa di coscienza e un cambio di orizzonte a tutti i livelli, dal volontario della parrocchia al legislatore nazionale”.
Si legge ancora: “Occorre ripensare i servizi mettendo al centro la necessità di creare spazi di relazione e non le prestazioni da erogare, supportare le persone grazie al sostegno della rete e promuovere comunità capaci di condividere le loro risorse, accettando e anzi valorizzando le singole fragilità. Questo mentre si rendono realmente esigibili i diritti delle persone in primis quello a vivere una vita dignitosa.
È anche necessario cambiare il modo in cui guardiamo ai poveri, spesso etichettati come colpevoli, fannulloni e parassiti. Se la povertà non è una congiuntura, le persone che la vivono non sono colpevoli ma vittime e quindi vanno sostenuti e non giudicati.
Dal nostro punto di vista al primo posto bisogna mettere l’attenzione per le persone, che vengono prima degli interessi economici e che devono essere il nostro metro di valutazione. Occorre attuare politiche che tutelino i diritti umani delle singole persone e nuclei e contemporaneamente cercare di promuovere interventi volti a ricostruire o rinforzare il tessuto sociale, creando occasioni di relazione e scambio fra i cittadini, orientate non solo all’occupazione del tempo libero, ma anche alla risposta ai bisogni essenziali, con progetti che superino la logica del “noi e loro” e che cerchino concretamente di costruire un nuovo modello di società basata su un’economia di relazione e prossimità che, invece di espropriare risorse all’ambiente e alla società, li rafforza e rinnova. Dobbiamo cogliere l’occasione di riscoprirci tutti prossimi gli uni degli altri e quindi tutti ugualmente responsabili della città dell’uomo e del bene comune. Mai come oggi si conferma l’efficacia del invito di papa Francesco: “Nessuno si salva da solo””.
Conclude il direttore della Caritas Andrea Gollini: “Questo report ci conferma, come dice Papa Francesco, che “nessuno si salva da solo”. La realtà che viviamo ci conferma la nostra fragilità, fa cadere l’illusione o meglio la presunzione della separazione fra chi aiuta e chi viene aiutato, ci restituisce però la capacità di immedesimarci nell’altro sofferente essendo noi stessi in prima persona sofferenti e spaventati. Questo passaggio di presa di coscienza non è da vivere come una disgrazia ma come un dono. L’aiuto quello vero si genera solo all’interno di una relazione e la relazione può avvenire unicamente se ci si riconosce come umanità soggettivamente differenti ma ugualmente degne e intimamente connesse. Se siamo tutti fragili e tutti necessitiamo gli uni degli altri, ne deriva automaticamente la necessità di collaborare, di lavorare in rete. Casa, lavoro e problemi materiali: cambia l’ordine delle necessità. La difficoltà nella ricerca di abitazioni ad un prezzo accessibile è diventata la prima causa di caduta nella marginalità. Occorre ripensare i servizi mettendo al centro la necessità di creare spazi di relazione e non le prestazioni da erogare, supportare le persone grazie al sostegno della rete e promuovere comunità capaci di condividere le loro risorse, accettando e anzi valorizzando le singole fragilità. Occorre attuare politiche che tutelino i diritti umani delle singole persone e nuclei e contemporaneamente cercare di promuovere interventi volti a ricostruire o rinforzare il tessuto sociale”.