REGGIO EMILIA – Nel 2023 il centro d’ascolto diocesano della Caritas di Reggio Emilia ha incontrato 553 persone senza dimora, il numero più alto dal 2015 ad oggi. Supera anche il dato di 534 persone rilevato nel 2020, anno in cui le attenzioni su questa fascia di cittadini fragili si sono intensificate, in previsione dello sgombero dei capannoni delle ex Reggiane.
L’emergenza abitativa, secondo il rapporto sulle povertà presentato oggi dall’ente, riguarda il 63,43% degli uomini che sono stati incontrati, ma coinvolge in modo diverso stranieri e italiani. I primi lo affrontano infatti nella fase centrale della vita, in età lavorativa. Per i secondi il problema emerge con l’avanzare dell’età e il ridursi della rete famigliare e amicale.
Le persone incontrate l’anno scorso sono aumentate di 160 unità dopo l’instabilità data dalla pandemia, passando da passando da 769 a 929. Il 69,64% delle persone risultano già conosciute, questo indica una cronicizzazione delle situazioni di povertà. Si conferma alta la multiproblematicità (seppur con un leggero calo) passando da 3 bisogni a persona rilevati nel 2020 a 3,8 nel 2023. Gli italiani continuano ad essere la prima tra le nazionalità incontrate e si assestano nel 2023 sul 22,93%. Si conferma il trend di diminuzione delle donne, scese in termini percentuali al 17,87% (in termini assoluti sono aumentate di 5 unità).
Tuttavia queste presentano un numero più elevato di bisogni (3,9). Tra le nazionalità crescono quelle appartenenti all’area geografica nordafricana e calano quelle dell’Africa centrale e occidentale, mentre si registrano le “new entries” di Georgia e Romania. Infine il 70,67% delle persone incontrate sono disoccupate, anche se diminuisce il numero delle persone irregolari che dichiarano di lavorare in nero (da 18,15% a 9,43%).
“Ci muoviamo in un quadro di normalizzazione della povertà ovvero un contesto in cui la povertà non stupisce più ma diventa condizione quotidiana per sempre più persone” denuncia la Caritas. Secondo cui “dobbiamo smettere di aspettare che la tempesta passi, di ‘uscire dal tunnel’ e cominciare ad arredare il tunnel”. Come? Ad esempio con servizi di welfare che “devono mettere al centro la dimensione della relazione e dell’accompagnamento e non solo le prestazioni da erogare, che sono condizione necessaria ma non sufficiente all’uscita dalla povertà”.