REGGIO EMILIA – Shabbar Abbas, tra gli accusati dell’omidicio della figlia Saman, uccisa nel 2021 per il no ad un matrimonio combinato, è arrivato questa mattina in Emilia dal carcere di Rebibbia, a seguito della procedura di estradizione dal Pakistan dove era fuggito. L’uomo non è però recluso nel penitenziario di Reggio Emilia, dove sono detenuti gli altri imputati, lo zio di Saman Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Nomanullaq Nomanullaq.
Shabbar, che da detenuto a Islamabad dove è stato arrestato a novembre dell’anno scorso ha partecipato ad alcune udienze del processo a suo carico che si svolge in Corte d’Asisse a Reggio Emilia, dovrà ora decidere se essere presente alla prossima udienza fissata per l’8 settembre. Vista la fase avanzata del procedimento non è tecnicamente previsto un interrogatorio di garanzia dell’imputato, che potrà però rendere dichiarazioni spontanee davanti alla Corte.
Come evidenziato questa mattina dal procuratore capo di Reggio Emilia, Calogero Gaetano Paci, “è la prima volta nella storia delle relazioni tra Italia e Pakistan che un’estradizione attiva richiesta cioè dal nostro Paese viene concessa”. E “questo, che non era mai accaduto in passato, fa anche ben sperare sulla buona riuscita di un accordo più ampio, che sappiamo già essere in fase di gestazione, per realizzare un sistema di relazioni bilaterali finalizzate alla cooperazione giudiziaria col Pakistan più stabile e legato proprio al trattato che ancora manca”, aggiunge Paci.
L’estradizione di Shabbar, sottolinea ancora il procuratore, “si è svolta infatti sulla base di un approccio che viene definito di ‘cortesia internazionale’ che si alimenta di relazioni e uomini in grado di comprendere un Paese con un ordinamento e un sistema giudiziario completamente diverso dal nostro”. Ecco perché, secondo il magistrato, “questa vicenda rappresenta un esempio di perfetta funzionalità ma anche di credibilità e affidabilità all’estero del sistema giudiziario e istituzionale italiano, che ha concorso a tutti i livelli al consegumento di questo risultato”.
Paci sottolinea infine la sensibilità e la collaborazione anche delle autorità politiche e giudiziarie del Pakistan, “che hanno compreso come la nostra richiesta era scevra da ogni altro significato valoriale, religioso o politico e non voleva minimamente attentare ai valori istituzionali e religiosi di quel Paese, ma semplicemente compiere un iter di giustizia secondo l’ordinamento italiano”. Una richiesta che in tempi celeri- circa 10 mesi- “è pervenuta al pieno riconoscimento della sua fondatezza non solo da parte della magistratura ma anche, come previsto dall’ordinamento pakistano, da parte della compagine di Governo in modo assolutamente unanime”.
Di tempistiche dell’iter “che non hanno pari” parla anche il generale di brigata della Guardia di Finanza Giampiero Ianni, direttore del servizio cooperazione internazionale della Polizia e direttore dell’Interpol in Italia, specificando come “tutte le questioni procedurali emerse in un Paese che è di ‘civil law’ ma è fatto anche di tradizioni giudiridiche e culturali diverse da quelle che noi sperimentiamo, sono state risolte praticamente subito, dopo che mano a mano si presentavano”. Una delle prime criticità ha riguardato ad esempio la contestazione del capo di imputazione al momento dell’arresto di Shabbar Abbas che, come riportato erroneamente dai media pakistani, sarebbe avvenuto per truffa. Ianni e Paci smentiscono: “L’accusa è sempre stata di omicidio come specificato nella ‘red notice’ emessa sul sito dell’Interpol”.
Il vicequestore Costantino Scudieri, esperto di immigrazione e “uomo sul campo” a Islamabad ricorda che “Italia e Pakistan sono più vicini di quanto sembri, visto che nel nostro Paese vivono circa 200.000 pakistani, la comunità più grande dell’Unione europea, seconda solo a quella della Gran Bretagna”. In merito ai numerosi rinvii delle udienze estradizionali registrati, che in Italia avevano destato scalpore e preoccupazione sull’esito della procedura, Scudieri chiarisce che “sono stati di natura fisiologica e tecnica, dovuti anche ad emergenze delle istituzioni del Pakistan che si trovano ad operare un contesto non facile”.
Il comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Andrea Milani ricorda i “67 giorni di ricerche sul campo del corpo di Saman nelle campagne di Novellara (i resti sono stati ritrovati circa un anno e mezzo dopo, ndr) su un’area di 80 ettari di terreno battuti da oltre 500 Carabinieri”, mentre il comandante del nucleo investigativo, il maggiore Maurizio Pallante, fa rapporto sulla missione a Islamabad per prelevare Shabbar. Che “è stata così fluida che siamo arrivati alle 00.06 di questa notta a Ciampino, con due ore di anticipo rispetto a quanto previsto”.
Quanto infine alla moglie di Shabbar Nazia Shaeen, ancora latitante in Pakistan, “gli accertamenti continuano sottotraccia e nella riservatezza”, spiega il procuratore Paci. “Anche su di lei pende una ‘red notice’ dell’Interpol ma non è facile trovarla in un Paese di 120 milioni di abitanti”. A Reggio comunque la donna sarà processata in contumacia.