REGGIO EMILIA – Nel processo “Angeli e Demoni” sui presunti affidi illeciti di minori in provincia di Reggio Emilia cambiano le accuse mosse ai 17 imputati. La presidente della Corte Sarah Iusto, ha infatti accolto stamattina le aggravanti presentate lo scorso 9 gennaio dal pubblico ministero Valentina Salvi per alcune posizioni, in ordine ai capi di imputazione di falso (perché chi li avrebbe commessi ricopriva ruoli di pubblico ufficiale), abuso di potere e lesioni (che ora diventano “continuate”).
A seguito della modifica dei reati contestati, gli imputati hanno ora tempo fino al 20 marzo – data della prossima udienza – per decidere se proseguire con il rito ordinario in corso o optare per i riti abbreviato o alternativi. A surriscaldare il clima in aula è stato però oggi il lungo intervento del procuratore capo Calogero Gaetano Paci, che ha preso per la prima volta la parola per replicare sulle eccezioni sollevate sulle aggravanti.
I difensori ne hanno sostenuto la “nullità per indeterminatezza”, e hanno attaccato l’ufficio della Procura reo, a loro giudizio, di violazioni della procedure e di mosse “irrituali” e “surrettizie”, come ad esempio la contestazione delle nuove aggravanti per “allungare la vita” ai reati, molti dei quali risalenti al 2015, per impedire che cadessero in prescrizione. Sotto accusa anche una memoria presentata dal pubblico ministero, con allegati degli atti di indagine (trascrizioni di chat di Whatsapp degli imputati, stralci di relazioni dei periti della Procura e dichiarazioni di persone ascoltate) di cui il Collegio giudicante dovrebbe venire a conoscenza solo durante il dibattimento.
L’offensiva delle difese è proseguita stamane quando l’avvocato Nicola Canestrini, che assiste l’ex numero due dei servizi sociali della val d’Enza Francesco Monopoli, ha esordito dicendo: “Questo è l’ennesimo pasticcio della pubblica accusa in questo procedimento perché le nuove contestazioni non vengono fatte sulla base di fatti emersi dall’istruttoria dibattimentale che non è neanche iniziata”. Ed “è un segno – ha proseguito Canestrini – che la pubblica accusa mostra cio’ che non dovrebbe mostrare, cioè una insicurezza che già emerge da capi di imputazione talmente indeterminati al punto che lo stesso pubblico ministero ha parlato di condotte di difficile descrizione”.
Ma “se non si riescono a descrivere le condotte vuol dire che non c’è un reato”, ha concluso il legale. Pronta la replica di Paci che in premessa spiega: “Non sarei ovviamente intervenuto reputando assolutamente valida, autorevole ed efficace la rappresentazione dell’accusa da parte della collega Salvi, se non avessi visto, letto e sentito anche stamattina una serie di riferimenti a mio giudizio non solo sgradevoli sul piano della dialettica processuale, ma anche pesantemente offensivi e delegittimanti della pubblica accusa da parte di alcuni avvocati”.
Qui, continua il procuratore capo, “c’è una bella differenza tra quella che dovrebbe essere la dialettica di un processo, anche accesa, e la messa in discussione dell’accusa”. In difesa di Salvi viene poi fatto notare che i giudici che si sono avvicendati nelle varie fasi del procedimento, da quella cautelare a quella preliminare, “hanno dato atto della piena e sostanziale fondatezza del quadro accusatorio, ovviamente discernendo tra le varie posizioni e riconoscendo ad alcune una pronunzia liberatoria dalle accuse”.
Tra l’altro evidenzia ancora Paci “anche in Corte d’Apello la collega Salvi è stata recentemente sostenuta dal Procuratore generale per l’efficace, autorevole e discreto lavoro professionale fin qui eseguito”. Il magistrato è un fiume in piena: “La mia non è una difesa d’ufficio perché il capo di un ufficio giudiziario ha il dovere di intervenire quando la credibilità e la professionalità di un magistrato viene messa indebitamente, scorrettamente in discussione anche attraverso articoli di stampa, spostando il sacro rispetto del recinto del processo su una funzione mediatica e mediatizzante. Nulla di più scorretto dunque”. Il dito è puntato quindi anche contro il “vaso comunicante che è evidente si sia venuto a creare tra il processo e il suo palcoscenico, cioè la stampa”.
In ogni caso, ha concluso Paci, “voglio rassicurare i difensori che la contestazione di queste aggravanti ha una sua precisa ragion d’essere all’interno del processo e non al di fuori di esso”. I giudici hanno infine accolto la richiesta di Rossella Ognibene, che rappresenta l’ex capo dei servizi sociali della val d’Enza Federica Anghinolfi, di aggiungere come “prova del reato” le relazioni originali degli assistenti sociali che secondo la Procura sarebbero invece state falsificate dai servizi per agevolare i procedimenti di affido dei minori sulla base di presunti abusi subiti.