REGGIO EMILIA – Un processo che, esaurito il clamore mediatico, stenta a decollare. E in cui, su diversi reati, aleggia lo spettro della prescrizione. E’ questo il quadro in cui si inserisce la nuova “carta” giocata dalla Procura di Reggio Emilia nel rito ordinario di “Angeli e Demoni”, che vede imputate 17 persone per il presunto giro di affidi illeciti di minori in val d’Enza. Nell’udienza di oggi, infatti, il pubblico ministero Valentina Salvi ha contestato delle nuove aggravanti in ordine ai capi di imputazione di falso (perché chi li avrebbe commessi ricopriva ruoli di pubblico ufficiale) e in un caso per abuso di potere. In sostanza, quindi, una modifica delle accuse mosse agli imputati che nel contempo “allunga la vita” ai reati – molti risalgono al 2015 – impedendo che cadano in prescrizione.
Una mossa a cui gli avvocati delle difese hanno reagito chiedendo a loro volta un supplemento di tempo per valutare le posizioni dei loro assistiti e presentare eventuali eccezioni preliminari. Come risultato, il fitto calendario dei lavori previsto a gennaio, con due udienze a settimana, è stato azzerato e si riparte il prossimo 15 febbraio. Altre due questioni tecniche affrontate oggi riguardano una memoria presentata dal pm. In primo luogo diversi difensori hanno contestato che allegati al documento ci fossero degli atti di indagine non consentiti dalla procedura, considerata quindi gravemente violata.
Si tratta in particolare di trascrizioni di chat di Whatsapp degli imputati, stralci di relazioni dei periti della Procura e, soprattutto di “Sit” (sommarie informazioni testimoniali). Vale a dire dichiarazioni di persone ascoltate dagli investigatori di cui il Collegio giudicante dovrebbe venire a conoscenza solo durante il dibattimento. Il pm Salvi, ha acconsentito che tali atti siano rimossi dalla memoria, giustificando la loro presenza per un “refuso”. Secondo uno degli avvocati della difesa andrebbero però cancellate anche “le prime 15 pagine” della memoria del sostituto procuratore che, a suo giudizio, suonano come “una requisitoria anticipata”.
Rossella Ognibene, che rappresenta l’ex capo dei servizi sociali della val d’Enza Federica Anghinolfi, ha chiesto invece che al fascicolo dell’accusa siano aggiunte, come “prova del reato” le relazioni originali degli assistenti sociali che per la Procura sono state falsificate per agevolare i procedimenti di affido, basati su presunti abusi subiti dai minori. E mentre le difese affermano che la Procura non sarebbe interessata a indagare anche su questi aspetti, Salvi puntualizza: “Questo ufficio non sostiene che quegli abusi o maltrattamenti non siano esistiti, ma che quegli elementi sono talmente spostati, talmente tanto inquinati, da rendere impossibile la ricostruzione di quei fatti.
E questo è un concetto ben diverso”. Il processo sui cosiddetti “fatti di Bibbiano” procede comunque a rilento. Dopo una prima udienza che si è svolta a inizio giugno è infatti proseguito lo scorso dicembre con un nuovo Collegio, a causa del trasferimento di due membri del precedente ad altra sede (ora i magistrati sono la presidente Sarah Iusto con a latere Michela Caputo e Francesca Piergallini). In aula si ritorna ora a febbraio.
Tra le 17 persone alla sbarra ci sono Federica Anghinolfi, il suo braccio destro Francesco Monopoli e Nadia Bolognini, moglie di Claudio Foti, il 70enne psicoterapeuta fondatore della onlus torinese Hansel & Gretel, condannato in abbreviato a 4 anni per abuso d’ufficio e lesioni. A processo anche il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, unicamente però per abuso d’ufficio, e cioè per l’ipotesi di aver affidato senza gara la terapia dei bambini presuntamente abusati alla Hansel&Gretel. I capi di imputazione contestati sono 107 tra cui frode processuale, depistaggio, abuso d’ufficio, maltrattamento su minori, lesioni gravissime, falso in atto pubblico, violenza privata, tentata estorsione e peculato d’uso. Le parti civili ammesse sono 31. Tra queste il ministero della Giustizia, la Regione. l’Unione dei Comuni val d’Enza e l’Ausl di Reggio Emilia.
Nel novembre del 2021 sono arrivate le prime sentenze per chi aveva scelto l’abbreviato: quattro anni di condanna a Foti e assoluzione per l’assistente sociale Beatrice Benati. Furono prosciolte le funzionarie comunali Daniela Scrittore, Nadia Campani e Barbara Canei assieme alla psicoterapeuta Sarah Testa. In fase preliminare un’altra assistente sociale, Cinzia Magnarelli, aveva patteggiato una pena di un anno e otto mesi.