MILANO – Il 63% di un campione di 509 titolari di PMI intervistati su tutto il territorio nazionale afferma di poter sopportare il caro energia solo perché si sta ancora beneficiando di contratti di fornitura energetica a prezzi bloccati, stipulati nei mesi addietro..
E’ il responso di un’indagine condotta da I-Aer, centro di ricerca dedicato alle Pmi che monitora, su base mensile, l’andamento di un paniere di oltre 400 piccole e medie imprese italiane distribuite sul territorio nazionale, con una concentrazione maggiore in Lombardia, Marche e Toscana. “Tale situazione si aggrava ancora di più nelle regioni del Centro-Nord- afferma il professor Fabio Papa, fondatore di I-Aer e docente di economia- dove la presenza di imprese energivore è molto capillare, con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna ad altissimo rischio di stop produttivo qualora lo scenario dovesse peggiorare”.
Il 36% degli imprenditori intervistati si dichiara “pronto a chiudere entro il 2022” se lo scenario non dovesse cambiare tramite interventi governativi o di livello sovranazionale. Oltre l’87% delle imprese pronte alla chiusura sono operative in settori quali acciaio, ceramica, industria di precisione e dell’automazione industriale.
Le imprese sentite dal centro di ricerca I-Aer non credono alla “narrativa sulle energie rinnovabili”. Per installare dei pannelli solari ben 9 titolari d’azienda su 10 dichiarano tempistiche superiori agli 8 mesi, soprattutto a causa della carenza di materiali generata dall’implosione delle catene logistiche. Oltre a ciò, I-Aer ricorda che in Italia solo due aziende su dieci fanno ricorso strutturale alle energie rinnovabili e che meno di un’azienda su dieci può definirsi almeno parzialmente indipendente sul fronte energetico. La crisi energetica si riverbera a cascata sulle famiglie dei dipendenti.
“Si sta verificando un fenomeno da molti trascurato sul fronte delle risorse umane: la crescente necessità di innalzare i compensi, ciò in quanto l’inflazione galoppante (data per oltre il 50% proprio dal caro energia) sta mettendo sotto pressione il potere d’acquisto di individui e famiglie”. Ciononostante, secondo i dati di I-Aer, solo 28 aziende su 100 possono sostenere un incremento degli stipendi netti.